“Ci fu quella volta che sgattaiolò fuori dalla camera non appena sentì i nonni russare.”
“Caldo da sciogliere le lamiere e nemmeno un alito di brezza in quel torrido pomeriggio di luglio. Per le strade neanche un cane, meglio così perché aveva una fifa boia dei cani. Scese le scale sulle punte dei piedi per non far rumore; una volta in strada infilò i sandali, sollevò la bici e la trasportò fino a un punto all’ombra e riparato, dove ormai nessuno lo avrebbe potuto più scorgere. Era quello l’istante dell’ultima, irrevocabile decisione: tornare in casa prima che i nonni si accorgessero della sua sparizione, o inforcare la bici e andare alla scoperta di Panzano ben sapendo che al ritorno sarebbero stati dolori?
Stefano si segnò, sospirò e via di corsa in sella alla sua fiammante bici cross con il sedile lungo che non si sa mai gli capitasse l’occasione di dare un passaggio a qualche ragazzina. Incurante del caldo, si infilò tra i viottoli e le canisele di Panzano, immergendosi in un sogno ad occhi aperti che aveva come sfondo le città e gli esploratori a cui erano intitolate le strade.
Pedalò come un forsennato per quasi tre ore, sudato ma felice. A un certo punto dalla torre dell’acquedotto – almeno gli parve provenisse da lì – sentì l’agghiacciante urlo della sirena che annunciava le 17, la fine della giornata dei cantierini. Sapeva che di lì a pochi minuti migliaia di biciclette avrebbero invaso le vie di Panzano. Correva il rischio di essere inghiottito, lui sulla bici cross con sella lunga ma senza nessuna ragazzina dietro, dai velocipedi dei grandi, operai e impiegati. Aumentò le pedalate fino allo sfinimento, e arrivò a casa dei nonni appena in tempo prima dell’invasione. Il nonno stava sulla terrazza e quando lo vide bestemmiò e gli rivolse il suo solito affettuoso rimprovero: “Maledeto el treno che te ga portà qua”. Quando era più arrabbiato il nonno saliva di tono “Maledeto il prete che te gà batizà”. In ogni caso quelle frasacce non lo inquietavano più di tanto. Temeva decisamente di più la secca sberla della nonna, che forse era tanto veloce nel mollargliela per non dare il tempo al dispiacere di indurla a fermarsi.
Quello che accadde dopo non è degno di nota; Stefano se la cavò pure quella volta. Ormai anche lui era un esploratore come i Marco Polo, i Dandolo, i Vespucci e compagnia bella di Panzano. A Stefano e a tutti i bambini di Panzano genitori e nonni ripetevano sempre la solita solfa: “Studia, così andrai a lavorare in cantiere”. Ma con la stessa convinzione dicevano ogni tanto l’esatto contrario: “Studia, così non andrai anche tu a lavorare in cantiere”.
Che confusione! Meglio un bel giro in bici cross alla scoperta del quartiere operaio. E se uno non ci sta più sulla bici cross va bene lo stesso. Panzano mica scappa, sta lì da un secolo.”
Tratto da Benussi, Covaz, Malusà, Valcovich, “Storia e memoria di Panzano”
L’ex ingresso operai venne demolito nella primavera del 2013 per esaltare il ristrutturato albergo operai ad esso adiacente. La costruzione fungeva non solo da ingresso per operai e maestranze ma anche da sede in cui venivano erogate le paghe. Dismesso dal 2006, è stato sostituito dal nuovo accesso che si trova all’angolo tra via del Mercato e via Marconi.