Alto, robusto, aitante, forte, generoso, volitivo, autorevole e autoritario, ma anche ingenuamente narciso e spaccone, capace di iniziative e decisioni improvvise e risolutive, ma anche di scoppi d’ira esagerati e inopportuni… tutto ciò, entrando in una famiglia lussignana, aveva meritato ad Antonio il soprannome di “Bùrina” perché, come i refoli di bora, il suo umore sanguigno poteva impennarsi, vorticare e travolgere e poi placarsi in attesa del prossimo refolo.
Un caldo giorno di luglio Antonio tornava a casa dal lavoro per la pausa pranzo, la mattinata era stata faticosa e l’appetito si faceva sentire, ma già prima di varcare il cancelletto del giardino oltre la finestra della cucina intravvede la moglie che sta conservando con uno sconosciuto seduto a tavola: entrare come una furia, prendere lo sconosciuto per il bavero della giacca e scaraventarlo in strada fu questione di un attimo! Cosa era accaduto? Mia mamma aveva vinto al lotto un orologio a cucù e il poveruomo era venuto a recapitarglielo; lei, memore delle buone maniere lussignane, lo aveva fatto accomodare e gli aveva offerto il tradizionale e immancabile “bicerin” che non si negava a nessuno, ma non aveva fatto i conti con l’impulsività del marito che partiva in quarta prima di sentir ragioni! A cose chiarite il malcapitato quando incontrava mio papà non mancava mai di salutarlo con deferente rispetto!
Antonio dedicò al Cantiere tutta la passione e l’impegno di cui era capace, vivendo con l’impetuosità del suo carattere le battaglie e le mutazioni politiche, sociali, sindacali e industriali degli anni della guerra e del dopoguerra fino al1968 quando, dopo cinquant’anni, a malincuore lasciò il lavoro per andare in pensione.
Tratto da Maria Rossetti Dovi “I racconti delle cicale”